Se
l’Amministrazione finanziaria promuove un’azione esecutiva illegittima, il
contribuente ha diritto al risarcimento del danno, art. 2043 c.c. (Cass. n°
25855/2013)
La Corte di Cassazione, in materia di
applicabilità dell’art. 2043 c.c. alla condotta colposa o dolosa
dell’Amministrazione finanziaria, ha stabilito con la pronuncia n° 25855/2013
che tale norma “potrebbe trovare il suo
fondamento”, laddove il Fisco “abbia
integrato gli estremi dell’illecito aquiliano, sia sotto il profilo oggettivo
che sotto quello soggettivo”.
I
fatti del processo
La controversia giudiziale nasceva dalla
chiamata in giudizio del Ministero delle Finanze ad opera di un contribuente,
il quale lamentava di aver subito un’espropriazione di due immobili (di sua
proprietà), attivata a mezzo dell’esattore, su istanza dello stesso Ministero
convenuto.
In particolare, l’azione esecutiva
derivava da un accertamento sui redditi dichiarati dal coniuge della parte,
risultanti dal Modello 740/83 sottoscritto, oltre che dal dichiarante, anche
dall’attore, il quale veniva ritenuto solidalmente responsabile.
Successivamente, il contribuente (parte
processuale) denunciava alla Procura della Repubblica la falsità della firma e,
contestualmente, chiedeva al Tribunale competente la sospensione urgente dell’espropriazione
attraverso le forme dell’art. 700 c.p.c. (tuttavia senza successo), nonché
l’accertamento della falsità della firma mediante il procedimento della querela
di falso (art. 221 c.p.c.).
In relazione a quest’ultimo processo, il
contribuente otteneva la dichiarazione di falsità della sottoscrizione e
l’ordine di “cancellazione”, con
rimozione di ogni effetto ad essa correlata.
Ad ogni buon conto, nonostante
l’accoglimento dell’azione giudiziaria per querela di falso, il processo esecutivo
si era concluso con la vendita forzata dei due immobili precedentemente
pignorati.
In definitiva, il contribuente chiedeva
la condanna del Ministero delle Finanze al pagamento del risarcimento del
danno, di cui all’art. 2043 c.c. per la accertata illegittimità della procedura
esecutiva, atteso che, con la dichiarazione di falsità della firma
riconducibile all’interessato, veniva a mancare il presupposto della
responsabilità solidale per i debiti erariali del coniuge.
La
decisione
I giudici ermellini, accogliendo la tesi
del contribuente, hanno quindi osservato che nei rapporti Erario – contribuente
trova operatività la normativa dell’art. 2043 c.c. (“qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno
ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno”).
A ben vedere, con l’intervenuta
caducazione del titolo esecutivo in forza del quale l’azione esecutiva era
stata intrapresa dall’organo esattore, nasce l’esigenza di prevedere una equa
tutela da assicurare al danneggiato innanzi all’invalidità dell’espropriazione.
Proprio su tale aspetto, la Suprema
Corte ha precisato che, al fine di ottenere il risarcimento del danno, non è “sufficiente il solo accertamento
dell’infondatezza della pretesa tributaria azionata in via esecutiva”
(Cass. n° 16589/2005), ma è doveroso esaminare se nella condotta posta in
essere dall’Amministrazione finanziaria sussistano le condizioni previste dalla
normativa, ossia l’elemento oggettivo e quello soggettivo, ossia
l’atteggiamento psicologico del danneggiante[1].
Di
Federico Marrucci
Avvocato
Tributarista in Lucca e Pisa (c/o Studio Legale e Tributario Etruria)
per maggiori informazioni www.studioetruria.com
[1]
L’elemento soggettivo è rappresentato dall’analisi dell’azione del
danneggiante, ovvero sia se è stata di tipo dolosa (aver agito con l’intenzione
di cagionare l’evento dannoso) oppure colposa (violazione del dovere di
diligenza, cautela, perizia nei confronti del danneggiato);
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